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Il lavoro dell'immaginazione, che processa il molteplice coniugandosi alla prospettiva non dogmatica dell'erudizione, realizza una diversa modalità espressiva del vero, fondata sull'ignoranza delle cause e sulla "cognizione degli effetti". Nella pagina leopardiana si riversa una sapienza linguistica, stilistica ed estetica che apre dei varchi felicemente contraddittori rispetto all'incresciosa chiusura d'orizzonte di un vero filosofico che interdice il "caro immaginar". Per virtù di scrittura, prima ancora che per l'emergenza di palpiti sentimentali, poiché la scrittura esprime, forse per l'ultima volta in Leopardi, l'indissolubilità di stile e humanitas. Gli effetti rilevati dall'apertura fenomenologica dello sguardo erudito si traducono negli effetti prodotti dal peritissimo artefice: sia che si percorra la via della distinzione fra parole antiche e anticate o si accolga vivacemente una quasi perenta accezione di 'pellegrino'; che si lavori sulle varianti per definire una lingua della poesia o che si metta l'italiano alla prova della brevitas per legittimare la sua modernità espressiva; che si ribalti verso il finito la direzione dell'impressione sublime o che si sancisca l'esito farsesco di ogni tentativo tragico; fino alla scommessa, disagevole per il poeta di Recanati, di confezionare una prosa in cui, sotto la maschera dialogica, si realizzi una ragione comunicativa.